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Borgomanero: torna l'appuntamento con il cineforum

Martedì 9 gennaio torna a Borgomanero l'appuntamento con il cineforum. Sul grande schermo arriva "Sing Street".

Regia: John Carney
Soggetto: John Carney, Simon Carmody
Sceneggiatura: John Carney
Fotografia: Yaron Orbach
Musiche: Gary Clark; canzoni originali di Gary Clark e John Carney.
Montaggio: Andrew Marcus, Julian Ulrichs
Scenografia: Alan MacDonald
Arredamento: Tamara Conboy
Costumi: Tiziana Corvisieri
Effetti: Ed Bruce, Paddy Eason, Film FX Ireland, Screen Scene
Interpreti: Ferdia Walsh-Peelo (Conor), Lucy Boynton (Raphina), Jack Reynor (Brendan), Maria Doyle Kennedy (Penny), Aidan Gillen (Robert), Kelly Thornton (Ann), Ian Kenny (Barry), Ben Carolan (Darren), Percy Chamburuka (Ngig), Mark McKenna (Eamon), Don Wycherley (fratello Baxter), Des Keogh (fratello Barnabas), Kian Murphy (Mick Mahon), Marcella Plunkett (madre di Eamon), Vera Nwabuwe (madre di Ngig), Conor Hamilton (Larry), Karl Rice (Garry), Tony Doyle (II) (Wayne), Keith McErlean (padre di Barry), Peter Campion (Evan), Lydia McGuinness (Miss Dunne), Eva-Jane Gaffney (Jacinta)
Produzione: Anthony Bregman, Martina Niland, John Carney per Likely Story/Filmwave/Distressed Films/Cosmo Films
Distribuzione: Bim
Durata: 105'
Origine: Irlanda, 2016
Data uscita: 9 novembre 2016

Dublino, anni Ottanta. Per sedurre una ragazza carina incontrata fuori dalla sua scuola, Cosmo le fa credere di avere un gruppo musicale e le chiede di apparire in un videoclip della band. Quello che sembrava un progetto strambo diventa per Conor una grande passione, che lo aiuterà ad evadere dalla sua complicata situazione familiare.
Forse tra qualche anno c’è chi saprà rivalutare la scena musicale degli anni ’00, ma per il momento pare che si abbia voglia solo di guardare al passato. Negli ultimi mesi tra le note musicali sono stati raccontati gli anni ’70 di Baz Luhrmann (“The Get Down”), gli inizi degli anni ’80 di Richard Linklater (“Tutti vogliono qualcosa”) ed ora il 1985 di John Carney. Tutti prodotti con dei giovani protagonisti che fanno delle canzoni i loro mezzi d’espressione, come se non ci fosse altro modo per far sentire la propria voce. Ed i registi hanno sfruttato questa attitudine dei personaggi per comporre anche loro uno spartito intorno al quale raccontare qualcos’altro.
Lo ha fatto sicuramente Carney in questo “Sing Street” dove, con il pretesto di seguire un piccolo gruppo di liceali che mettono su un complesso musicale, è riuscito a tracciare un quadro semplice ma efficace degli anni dell’adolescenza nelle ristrettezze economiche irlandesi. Quello che però differenzia questo film con i tanti altri che hanno tentato lo stesso percorso (vedi il recente e confusionario “London Town”) è che si avverte senza difficoltà un ritmo di fondo dettato dal regista che va oltre la straordinaria colonna sonora. Tra una canzone dei Duran Duran ed una degli A-ha, sono infatti scanditi perfettamente, in una carrellata repentina di stili e scenari degni di un film-tributo, tutti i momenti contraddittori che si vivono a 16 anni, senza però enfatizzarli ed estremizzarli. Una storia happysad, tanto quanto un testo dei The Cure, che riesce a muoversi in perfetto equilibrio. “Sing Street” è un vero gioiellino di divertimento e commozione, il lavoro più riuscito di Carney che esordì con l’opera indipendente “Once” e si affacciò ad Hollywood con “Tutto può cambiare” (“Begin Again”). Nel primo la storia produttiva (film girato completamente con il telefono tra le strade della città) superava il comunque notevole prodotto finale, il secondo soffriva l’approccio con la nuova produzione americana. In questo caso “Sing Street” riesce a raccogliere tutte e due le esperienze prendono il meglio dall’una e dall’altra e non perdendo la straordinaria capacità onnipresente in tutti i lavori del regista di trasportare il ritmo musicale in immagine, oltre a quella di saper comporre canzoni originali che rimangono in testa anche ad ore di distanza dal primo ascolto.
Martina Ponziani, Sentieri Selvaggi

Formare una band al cinema può essere sintomo di noia, può essere una distrazione che non porta a niente, può essere il desiderio bruciante del successo o un modo per mettere a frutto un incredibile talento, in “Sing Street” è una maniera per diventare adulti. È perché esiste la musica, vissuta realmente, in prima persona, che è possibile per Conor immaginare un’altra vita, libero da genitori e imposizioni scolastiche. E diverso lo diventa davvero il protagonista, leader di un gruppo che di settimana in settimana segue tutte le mode musicali degli anni ‘80, fino a finire per conquistare il desiderio di cambiamento anche di un’autodefinitasi modella. E una volta tanto anche il mare in tempesta da superare nel finale, la più stucchevole e diretta delle allegorie, suona appropriata.
Ribaltando l’intreccio tipico della commedia anni ‘80, e mettendo questa volta un ragazzo a smaniare sentimentalmente per una ragazza più grande, più cool e troppo distante da lui, John Carney esplora ancora un’altra dimensione di come musica e sentimento si sposino. Dopo la storia del musicista di strada e della straniera di “Once”, della cantante e del produttore di “Tutto può cambiare” (forse il suo capolavoro, il film in cui umanità, paesaggio, musica e tecnica filmica raggiungono uno zenith che gli vale un posto piccino nella storia del cinema), ora quella di un liceale che forma una band con l’unico scopo di conquistare una ragazza e nel farlo scopre cosa può fare la musica, continua a scolpire una forma personalissima nella classica commedia musicale. Una in cui le canzoni non sono corollario o parte della forma del film, ma hanno un ruolo attivo nella trama.
Non che non abbia dei padri John Carney, ma se il suo tocco ha una leggerezza e al tempo stesso una serietà non nuove al campo delle commedie migliori, il ruolo che gioca la musica è unico. Non è la scelta dei brani, non è la loro esecuzione e non è nemmeno il montaggio delle parti musicate, è proprio come tutta la storia venga migliorata dal fatto che nella vita dei protagonisti esiste la musica, come se sotto sotto la vera risposta a tutto non siano i sentimenti ma le note. Questa piccola utopia che striscia sottile tra le scene porta un livello di ottimismo, anche nei momenti più tragici, che è unico e che Carney ha introdotto nel cinema, uno che non nega le amarezze della vita ma le contestualizza, gli dona un senso più grande e le mette a frutto come in una ballad malinconica.
Gabriele Niola, BadTaste.it

 


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