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Borgomanero e il cineforum

Martedì 20 marzo torna l'appuntamento con il cineforum a Borgomanero: sul grande schermo arriva il film "Quello che so di lei".

Titolo originale: Sage femme
Regia: Martin Provost
Sceneggiatura: Martin Provost
Fotografia: Yves Cape
Musiche: Grégoire Hetzel
Montaggio: Albertine Lastera
Scenografia: Thierry François
Arredamento: Catherine Jarrier-Prieur
Costumi: Bethsabée Dreyfus
Interpreti: Catherine Frot (Claire Breton), Catherine Deneuve (Béatrice Sobolevski), Olivier Gourmet (Paul), Quentin Dolmaire (Simon), Mylène Demongeot (Rolande), Pauline Étienne (Cécile), paziente), Audrey Dana (direttrice del reparto ospedaliero moderno), Pauline Parigot (Lucie), Marie Gili-Pierre (Evelyne), Jeanne Rosa (Elodie), Elise Oppong (Sophie), Jacques Mechelany (Francis), Karidja Touré (sig.ra Naja), Jisca Kalvanda (sig.ra Werba), Fayçal Safi (sig. Werba), Anthony Dechaux (Thomas), Marie Paquim (Angeline)
Produzione: Olivier Delbosc per Curiosa Films, in coproduzione con France 3 Cinéma/Versus Production, in associazione con Memento Films Distribution/Memento Films International/Cofimage 27/Inver Invest
Distribuzione: BIM
Durata: 117'
Origine: Francia, 2017
Data uscita: 1° giugno 2017

Claire è un'ostetrica eccellente e talentuosa, con un'abilità naturale e il tocco più delicato per far nascere i bambini. Con il passare del tempo, però, i suoi modi delicati, il suo senso di orgoglio e di responsabilità iniziano a scontrarsi con i metodi più efficienti dei moderni ospedali. Così, giunta ormai alla fine della sua carriera, Claire comincia a mettere in discussione il proprio ruolo e le sue abilità. Poi, un giorno, la donna riceve una strana telefonata, una voce dal passato. Si tratta di Béatrice, la stravagante e frivola amante del suo defunto padre, sparita senza lasciare traccia trent'anni prima. Quest'ultima ha importanti e urgenti notizie per lei e vuole rivederla. E' così che la iper coscienziosa Claire e lo spirito libero, amante della vita Béatrice impareranno ad accettarsi l'un l'altra e, rivelandosi vecchi segreti, recupereranno gli anni perduti.
Il titolo originale della pellicola è “Sage femme”, che è il nome con il quale, in Francia, vengono chiamate le ostetriche. Che è la professione della protagonista, la quasi cinquantenne Claire (Frot), una levatrice vecchia maniera costretta a fare i conti con le cliniche moderne che stanno fagocitando il suo modo di lavorare. Tema evidentemente caro al cinema francese (il nuovo, in medicina, che surclassa il vecchio), tanto da essere al centro di film come il recente “Il medico di famiglia”. La donna ha fatto nascere, nella sua carriera, migliaia di bambini, ma ora, il reparto maternità dove lavora (un ospedale della periferia parigina), sta per chiudere. Dal passato, intanto, esattamente trent'anni dopo la sua fuga, ricompare l'estrosa Béatrice (Deneuve), all'epoca amante di suo padre (ora defunto). C'è un motivo per questo ritorno sulla scena. La donna, infatti, è malata e, prima di morire, vuole pareggiare i conti, sistemare gli affetti, a partire dal suo vecchio amante, ignara della sua scomparsa. Una donna non facile, pragmatica, quasi cinica, da ‘carpe diem’, bohemienne, esattamente all'opposto della più equilibrata, rigida e spigolosa Claire. Facile intuire che il loro rapporto, inizialmente difficile, si trasformerà in qualcosa di materno, stravolgendo le loro personalità.
Le due Catherine, Deneuve e Frot, regalano due ritratti di grande spessore di queste donne agli antipodi. A volte, non è la storia a far grande un film. Questa, in effetti, non dice nulla di particolarmente nuovo e sconvolgente. Eppure, con attrici così brave, capaci, anche solo con uno sguardo o un gesto, di riempire di significato una scena, non c'è che da gustarsi il film, in silenzio, con ammirazione e un po' d'invidia verso i nostri cugini. Una pellicola dove vita e morte, passato e presente, amore e abbandono, si alternano come marionette manovrate dai fili del destino. La morale del film spinge sulla condanna del ‘tutto o nulla’. Occorre sciogliersi, aver voglia di cambiare, fare dei compromessi, ritrovare la joie de vivre, indipendentemente dall'età.
Maurizio Acerbi, Il Giornale

Les choses de la vie. Con il loro fluire naturale. La nascita, la malattia e la morte. Tutto collegato. Senza soluzione di continuità. “Quello che so di lei” cattura col cinema la gestualità della vita di tutti i giorni. Contatti tentati. La paura di un abbraccio oppure, invece, un abbandono. Il cinema di Martin Provost, svincolato dalle ambientazioni di costume di “Séraphine” e “Violette”, non è mai stato così d’impatto, se non in qualche squarcio in “Le ventre de Juliette”. Stavolta con “Quello che so di lei”, decisamente il suo film più bello, appare come una specie di Sautet incazzato, che con la macchina da presa quasi si scontra con i corpi. Il quadro formale non è composto ma balla e vuole trascinare con sé. Si sentono tutti i tremiti e le paure delle due protagoniste, un’intensa Catherine Frot e Catherine Deneuve ispiratissima. La prima è Claire, madre single che ha cresciuto da sola suo figlio. È un’ottima ostetrica e ha dedicato tutta la sua vita al lavoro. i suoi metodi però rischiano di essere superati dalle cliniche più moderne. Un giorno riceve una strana telefonata. E qui entra in gioco la Deneuve nei panni di Béatrice. È una specie di voce che arriva dal passato; era infatti l’amante del padre ed era sparita molti anni prima. Donna dal carattere stravagante ha ora bisogno d’aiuto perché è malata di cancro. Le due donne si trovano così a confrontarsi dopo molto tempo.
Altre due donne. Come in “Violette”. Lì c’erano Violette Leduc e Simone de Beauvoir in un’altra relazione complessa. Qui si sfilano i contorti legami del passato e se ne creano di nuovi. Provost filma con naturale complicità i parti e ha il merito di non forzare mai, dal punto di vista drammaturgico, la malattia. Solo qualche soggettiva sfocata, in un film tutto sul movimento, che cattura l’energia nelle inquadrature da dietro, la nostalgia in un ballo da una canzone di Serge Reggiani. E poi, il terzo personaggio, Olivier Gourmet, che partecipa senza invadere mai la storia tra le due donne.
“Quello che so di lei” è un cinema a cuore aperto, che ha bisogno di parlare, di confessarsi, di rivelarsi le cose mai dette. Come nella potente scena della ragazza che sta per partorire e poi si scopre essere la stessa che Claire aveva aiutato a venire al mondo 28 anni prima. Oppure in quel passato. Altro cinema. Con le foto delle diapositive del padre di Claire sulle pareti. Come se per un attimo potesse ritornare in vita a tenere unite le due donne. A disegnare un altro passato. Ora che stanno cercando insieme la propria strada.
Simone Emiliani, Sentieri Selvaggi

 


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